lunedì 11 febbraio 2008

A Spello per Veltroni: una volta sarebbero andati in cinque, dolce Concita compresa.



A Repubblica da qualche tempo si tira la cinghia (anche se gli sprechi non mancano) e ieri a seguire il discorso di apertura della campagna elettorale del Partito Democratico c'erano proprio due gatti: Umberto Rosso e Curzio Maltese (il suo pezzo è riproposto qui sotto).

E' triste sottolinearlo, ma in epoche di vacche grasse, si sarebbero mandati là 4 o 5 inviati, tra cui la dolce Concita De Gregorio.

BUONO IL PRIMO CIAK
dal nostro inviato CURZIO MALTESE


SPELLO
- La bella Italia di Walter comincia da qui, in uno scenario che Obama se lo sogna. Dall'ex convento di San Girolamo, "che sta dopo il cimitero, oltre le querce e gli ulivi", indicano i paesani, senza malizia. Nel cuore del cuore d'Italia, terra umbra, magnifica, umile e coraggiosa, "dove la calma si trova a due passi dalla passione". Il posto ideale insomma per elencare tutto quanto è mancato finora al centrosinistra. Qui parte l'avventura. Se volete, dato il personaggio, il film di una campagna elettorale che può essere comica, tragica, patetica o straordinaria, fallimentare o da Oscar.

Come i film girati fra queste colline - il cinefilo Veltroni conoscerà l'elenco - da "Uccellacci e uccellini" a "L'armata Brancaleone" a "La vita è bella". Comunque, il primo set e il primo ciak erano buoni. Nel mondo di Walter, come in quello di Berlusconi, l'immagine, i simboli valgono quanto le parole e le azioni, se non di più. Il veltronismo è un berlusconismo rovesciato che usa gli stessi moderni strumenti per comunicare significati opposti. Il "discorso per l'Italia" di ieri in fondo riecheggia la famosa discesa in campo del '93: "L'Italia è il paese che amo... ". C'è il tricolore in bella mostra, il patriottismo continuamente richiamato, il passato gravido di gloria e dolore e il futuro di speranza della nazione come leit motiv, impastati in un ottimismo al limite dell'incoscienza. C'è un altro cinquantenne solo al comando che si lancia in una missione nuova, rivoluzionaria, impensabile soltanto pochi mesi prima, contro un avversario già sicuro della vittoria.

Le parti sono invertite, e i simboli. Il messaggio non è registrato ma in diretta, con le campane di paese che coprono l'avvio e il vento a scompaginare i fogli. Lo sfondo non è il villone di Arcore ma un paesaggio italiano di cielo, alberi e mura antiche. Un paesaggio vero, non di cartapesta. I ragazzi nelle prime file sono pure autentici, carini nei loro jeans, orecchini, nasi rubizzi di tramontana, lontani dai figuranti truccatissimi e lisci che il Cavaliere di solito arruola negli studi televisivi e scarica nei comizi, precisi a veline e calciatori. Eppure nulla, ora come allora, è lasciato al caso. Il regista governa alla perfezione la scena e il copione.

Non è certo casuale che Veltroni non abbia mai nominato il suo avversario, come del resto già fece nel discorso del Lingotto a Torino. Solo citazioni indirette. La più efficace è la stroncatura dello slogan principale della quinta campagna di Berlusconi: "Italia rialzati!". "L'Italia non ha bisogno di rialzarsi, gli italiani sono in piedi, lavorano, si rimboccano le maniche e guardano al futuro. È la politica che deve rialzarsi". Scatta l'applauso liberatorio. I ragazzi in prima fila gongolano: "E mo' er Cavaliere se ne deve trovà n'altro". Lui, Walter, un altro slogan l'ha già trovato: "Corriamo liberi, più che soli".

Ma il non citare Berlusconi non significa che la campagna di Veltroni non sarà "contro", per mire d'inciucio o per il "superamento dei personalismi" che va di moda sbandierare. Al contrario, Veltroni punta a una campagna davvero all'americana. Non nel senso più banale. Chi si aspettava un Veltroni "alla Obama" sarà rimasto stupito dell'italianissimo scenario, sfociato nel coro di Mameli finale, come dei toni pacati e quasi mai polemici nei confronti dell'innominato rivale. Ma nella sostanza sarà una campagna americana, quindi iper personalizzata. Sulla base di un ovvio calcolo politico.

L'unica possibilità di vincere le elezioni per il Partito Democratico consiste nel trasformare il voto del 13 e 14 aprile in un referendum popolare fra Veltroni e Berlusconi. Sul piano del duello personale il capo dei democratici può contare su qualche vantaggio, anzi quasi tutti: l'età, la (relativa) novità, l'indice di popolarità e di fiducia degli italiani, almeno secondo i sondaggi. Si tratta di un cinquantenne per la prima volta candidato premier contro un settantenne alla quinta replica. Uno che ha sempre vinto le sfide personali, dal duello con D'Alema per la segreteria della Quercia (poi deciso dall'apparato) alla corsa per sindaco di Roma.

L'altro che è già stato sconfitto due volte. Se l'Italia sarà chiamata a scegliere chi mandare a Palazzo Chigi fra Walter e Silvio, il miracolo "si può fare". Altrimenti l'abisso di partenza, i 10-12 punti che separano i due schieramenti, rimarrà incolmabile. Veltroni dice "scegliete quale Paese, non quale governo". Ma intende una visione di paese, l'Italia di Veltroni o l'Italia di Berlusconi. Non per caso, Veltroni ripercorre, senza ammetterlo, le tappe della campagna del '96, tutta giocata sul duello personale Prodi-Berlusconi, con il giro delle cento città, alla ricerca dello stesso spirito garibaldino di allora.

Nella missione Veltroni ci mette di suo un'allegria inedita per il personaggio. Chi lo circonda racconta di "non aver mai visto Walter così ottimista e in palla". Di sicuro, è il leader di centrosinistra che meglio maneggia l'arma dell'immagine e l'unico ad aver intuito il fascino del berlusconismo fin dalle origini, molto prima della "discesa in campo". Ma ancora non basta. Perché il miracolo accada occorre che l'uno, Veltroni, indovini ogni mossa e l'altro le sbagli tutte.

Alla fine, com'è chiaro al di là delle chiacchiere e delle sceneggiate di questi giorni, tutti vorranno salire sul carro del vincitore designato. Mentre il Pd, per quanto "libero", corre pur sempre solo.

Per chiudere con un parallelo calcistico in stile con i due contendenti, la partita è già cominciata, siamo nell'intervallo e la squadra di Veltroni è sotto di tre gol. È vero che una volta, il 25 maggio del 2005 a Istanbul, nella finale di Champions, la squadra di Berlusconi, finiti i brindisi negli spogliatoi per il 3-0, tornò in campo, prese tre gol dal Liverpool e finì per perdere ai rigori.

(11 febbraio 2008) - La Repubblica

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