giovedì 27 aprile 2017

«7» è un Panorama (più bello) ma già ci mancano i libri di D'Orrico.

Anzitutto due notazioni: 

A) «7» – il settimanale del Corriere della Sera che torna al numero arabo nel nome, al vecchio formato, alla carta patinata e al giovedì (forse la partita del/col Venerdì era impari) sotto la direzione di Beppe Severgnini – ha una testata deludente, una specie di pulsantone anni 90; 



B) su twitter non diventa trend topic, il che per una testata e un direttore che propongono una pagina a tema (Uccellacci e uccellini) e un premio di citizen journalism («Settebello»: vince l'articolo più condiviso sui social) non è proprio il massimo. C'è da ricordare che spesso #LaLettura e #Robinson, almeno nei giorni di uscita, sono sempre tra i 10 argomenti top del giorno. 

Detto ciò, il brand «7» è un ritorno alle origini: e la reputazione del marchio – una sorta di «fidatevi, siete in buone mani» – si avverte fin dal reportage nel mondo del gioco d'azzardo by Severgnini & Gramellini, la figura cardine del nuovo corso cairiano di via Solferino e secondo me prossimo direttore del settimanale stesso, tra un lustro (gli ultimi due direttori, Di Piazza e Vercesi, tanto sono durati). Non solo: le 4 pagine di «CORRecensioni», una delle nuove rubriche avviate, stanno lì a CORRoborare l'idea di qualitàsinonimo di reputazione (sono i redattori a recensire) e qui siamo ritornati al brand. Se la squadra di BSev lavora bene a rendere le rubriche hashtag, il giornale – e con lui il marchio – non potrà che crescere. 



La grafica è – scusate la cacofonia – un'esplosione di infografiche, le quali stanno al giornalismo moderno come le fotografie stavano al «7» nato trent'anni fa, con un predominio assoluto riconosciuto all'immagine e a un suo utilizzo di racconto. Nel complesso sembra di sfogliare Panorama, sia per la copertina sia per le grafiche stesse sia, soprattutto, per alcuni titoli (vedi quelli con font Aachen). 

Molto cool le didascalie, poco paludate insomma poco Corrierone, e i sottotitoli dati alle rubriche già nel sommario: es. «utopie fedelmente trascritte», «confessioni educatamente estorte», «domande artisticamente poste»...
I contenuti naturalmente meritano, e ci mancherebbe: davvero bella la pagina di Valentina Pisanty sul lessico del giornalismo moderno. Poi «Sette e mezzo» (la posta di Lilli Gruber, che ancora una volta gioca con la brandizzazione) e il paginone fotografico «Occhio non vede / Questione di profilo», mentre tra le vecchie rubriche le interviste di Zincone sono su «Doppio binario»: la testatina ha l'aria di essere qualcosa di definitivo, come forse anche le «Macchine del tempo» sui vip in quattroruote.

Lo sfoglio si apre con la pagina di Disegni «Le dodici tavole» e si chiude con l'«Intervista disegnata» in 176 pagine punteggiate di vignette old school in stile Settimana Enigmistica. Le rubriche dei grandi inviati nelle prime pagine spariscono, in coda le pagine monofirma, quelle un tempo a inizio sfoglio, nell'ordine D'Orrico «L'illuso» (il celebrato redattore del paginone di libri perde il suo favoloso format ma forse sarà titolare di una nuova rubrica di interviste, «Questo non lo scriva», ma ne avremo conferma da giovedì prossimo), Stella «Fubbol», Fasano «BlackRock», Persivale «Videocrazia», Laffranchi «Critico Rotante» (insomma meno fuffa generalista, più settorializzazione). Mancano all'appello – ma andiamo davvero a memoria, in attesa di un confronto più analitico con un vecchio numero – animali, salute, Umberto Broccoli e Nuccio Ordine, le playlist d'autore, e soprattutto le interessanti pagine tematiche di Giorgio dell'Arti in cui una parola, o meglio una cosa, veniva raccontata attraverso i secoli.

A proposito (una domanda che mi pongo ogni volta che Sette cambia direttore): che fine ha fatto Cesare Fiumi con le sue storie di cronaca minuta nella direzione Maria Luisa Agnese (1998-2007)? 

In conclusione: un restyling che, come tutti gli altri, può piacere ma anche no; però almeno è un restyling vero (non finto come il nuovo D di Rep. o alcuni ritocchini del Venerdì). A proposito, nella sezione autocelebrativa dei 10 direttori alternatisi in 30 anni c'è una chicca che riguarda il settimanale di Repubblica, che fu bruciato al fotofinish – lo racconta Paolo Pietroni, direttore 1987-1989 – mentre Scalfari&co. avevano addirittura pensato di ripiegare sull'abbinamento con Epoca. Poi, sempre nel 1987, arrivò Dell'Arti e negli anni il Venerdì vinse la partita. Che ora si riapre. Forse. 

MUDD

1 commento:

Fausto M. ha detto...

Ottima analisi. Più in generale: Severgnini che vera novità potrà mai portare? E' un secchione che cerca di essere trendy. La dimensione resta provinciale. Hai voglia a infografiche...